POLITICS

LE RAGIONI DEL VOTO

IL REFERENDUM COSTITUZIONALE: ANALISI DI UNA SCONFITTA

18 MARZO 2017 | GIORGIO NUNIA

La campagna referendaria che ha condotto alla consultazione del 4 dicembre 2016 è stata caratterizzata da una grande quantità di “temi” spesso non strettamente legati alle riforme. Sviluppo economico, Jobs Act, Buona Scuola, unioni civili e gestione delle politiche migratorie hanno monopolizzato i talk politici e le discussioni all’interno dei bar per molti mesi. Ma quale tra questi temi ha influito maggiormente sul risultato della consultazione?

Per cercare di rispondere a questa domanda sono stati messi in relazione una serie di indicatori socio-economici legati alle principali tematiche dibattute con i risultati del Referendum nelle diverse province italiane. Attraverso una particolare metodologia statistica denominata analisi di regressione multipla, si sono potute selezionare le variabili che hanno influenzato significativamente il risultato del voto e “pesarne” il contributo.

Sono stati testati 20 indicatori a livello provinciale ricavati da fonti istituzionali (Istat, Ministero dell’Interno e Agenzia delle Entrate):

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[Dall’analisi sono state escluse le province del Trentino Alto Adige poiché presentavano dei valori anomali rispetto a quelli rilevati nel resto d’Italia]

Il risultato dell’analisi ha evidenziato come con pochissime variabili sia possibile descrivere gran parte della variabilità delle risposte al referendum. È infatti sufficiente isolare 4 predittori per poter prevedere con buona precisione l’esito elettorale ovvero la proporzione di sì su base provinciale. In particolare la capacità previsiva (o bontà di adattamento nel modello) è del 68%:

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Il predittore che appare avere maggiore influenza sul voto è la percentuale di occupati nel settore pubblico. A questo indicatore (che influenza negativamente la percentuale di sì) può essere attribuito un peso del 23%.

Questo risultato è presumibilmente legato allo scontento generato in alcune categorie di lavoratori dalle politiche del governo riguardanti il settore pubblico (riforma Madia, Buona Scuola, riorganizzazione delle forze dell’ordine, ecc.).

Il secondo predittore per importanza è il valore aggiunto pro-capite prodotto nelle province. A questo indicatore (che influenza positivamente la percentuale di sì) può essere attribuito un peso del 17%.

Questo risultato è probabilmente collegato alla soddisfazione per la propria condizione economica, alla fiducia nei confronti delle politiche economiche del governo e alla paura per cambiamenti dello status quo.

Segue a breve distanza la percentuale di persone che frequentano la messa almeno una volta alla settimana (indicatore disponibile solo a livello regionale). Esso influenza negativamente la percentuale di sì al referendum e ha un peso del 16% sulle scelte degli elettori.

Questo risultato suggerisce come il mondo cattolico il 4 dicembre abbia in qualche modo voltato le spalle all’ex Presidente del Consiglio (e non è escluso che a tale risultato abbia contribuito l’approvazione della legge Cirinnà).

Infine, con un peso del 12%, emerge l’influenza dell’indice di dipendenza strutturale. Tale variabile (che influenza positivamente la percentuale di sì) è un indicatore demografico che esprime il rapporto tra popolazione in età inattiva (<15 anni e >64 anni) e popolazione in età attiva (15-64 anni).

Questo indice è tanto più alto quanto sono più numerosi i pensionati e le famiglie con figli piccoli. Ed è presumibile che su tali categorie di persone abbiano avuto maggiore presa argomentazioni riguardanti le ripercussioni negative che la vittoria del no poteva e potrebbe avere sullo status quo (rapporti con l’Europa, economia, ripercussioni sul governo, ecc.).

Non sono risultati invece significativi gli indicatori riguardanti la densità abitativa (residenti per km², percentuale di popolazione residente in centri con più di 50.000 abitanti, ecc.). Probabilmente è difficile cogliere attraverso degli indicatori a livello provinciale le differenze che sussistono tra periferia e centro e tra campagna e città.

Anche gli indicatori relativi all’immigrazione non hanno dato risultati significativi. Tali indicatori sono fortemente correlati allo sviluppo economico e quindi il loro effetto viene “assorbito” dal valore aggiunto pro-capite (cliccare qui per un approfondimento)

Il modello statistico analizzato, è stato quindi validato comparando la sua capacità previsionale rispetto ad i dati grezzi osservati:

Il risultato ottenuto appare molto simile alla reale distribuzione del voto se si escludono il Trentino Alto Adige (che come anticipato è stato escluso dall’analisi) e le regioni di provenienza dei leader dei 2 principali partiti nazionali (le province di Savona e Genova hanno ottenuto un risultato decisamente inferiore a quello previsto dal modello e le province di Siena e Firenze un risultato decisamente superiore).

In definitiva il risultato dell’analisi sembra avvalorare l’ipotesi che i “temi accessori” abbiano avuto un’influenza enorme sul risultato del referendum e che le considerazioni “di merito” sul contenuto della riforma siano state abbastanza marginali.

Si ringrazia per la consulenza fornita il Prof. Davide Raggi (Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bologna)

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